Orgoglio ITALIANO.
Orgoglio ITALIANO.
Da un mio amico (grazie P):
"La vita è un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo.
Il nostro tempo.
Noi cresciamo e maturiamo collezionando queste esperienze.
Sono queste che poi vanno a definirci.
Alcune sono più importanti di altre, perché formano il nostro
carattere.
Ci insegnano la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
La differenza tra il bene e il male.
Cosa essere e cosa non essere.
Ci insegnano chi vogliamo diventare.
In tutto questo, alcune persone e alcune cose si legano a noi in un
modo spontaneo e inestricabile.
Ci sostengono nell’esprimerci e nel realizzarci.
Ci legittimano nell’essere autentici e veri.
E se significano veramente qualcosa, ispirano il modo in cui il mondo
cambia e si evolve.
E allora, appartengono a tutti noi e a nessuno.
La nuova Fiat appartiene a tutti noi."
TORINO
La nuova Fiat 500 entra nella case di tutti gli italiani con una
pubblicità che parla di Falcone, Ciampi, Valentino Rossi e Giorgio
Gaber, non nomina mai la 500 e cita la Fiat soltanto una volta, alla
fine. Colpiti dalla scelta, siamo andati a chiederne conto al
pubblicitario che ha scritto il testo dello spot e scelto le foto che
lo illustrano. È un esordiente. Si chiama Sergio Marchionne, uno che
ama l'Italia come capita solo a chi non ci ha vissuto per molto tempo e
che di mestiere gestisce da tre anni l'azienda di cui ha appena curato
la réclame. È seduto davanti a un portacenere, gioca con l'accendino e
porta il solito maglione blu. «Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma
siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno
si è ancora accorto. Dopo gliela mostro».
Intanto ci dica quando ha deciso di darsi alla pubblicità.
«Il 16 maggio, di pomeriggio. Ho impiegato un'ora e mezzo per scrivere
il testo al computer. Ma ce l'avevo in pancia da giorni. L'ho scritto
in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è
ancora più bello, perché l'inglese è una lingua precisa».
E cosa dovrebbe comunicarci di così preciso, lo spot della 500?
«Ricostruisce il Dna del gruppo Fiat. Abbiamo sputato sangue in questi
anni per ripulirlo e ricominciare. Oggi, 4 luglio, per la Fiat è un
nuovo inizio. Tre anni di catarsi per tornare a riveder la luce».
Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore
delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale,
intendo. Un'organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi
chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera,
chissà che fumetti avrebbe portato».
Fumetti amari, all'inizio.
«Per prima cosa ho fatto il giro del mondo in 40 giorni, ho visitato
tutti gli stabilimenti, visto tutto. La burocrazia ministeriale.
L'organizzazione non strutturata per la concorrenza. La logica era:
quest'anno ho fatto un accendino, il prossimo anno ne farò uno più
lungo di un millimetro, e chi se ne frega se intanto all'estero lo
fanno di un chilometro. L'idea di fare soldi non era minimamente presa
in considerazione, come in certi ambienti islamici dove il guadagno è
considerato una forma di usura».
Il piemontese viene da generazioni di montanari, soldati, operai. Ha
il culto dell'obbedienza.
«E io ho mantenuto la disciplina e il senso del dovere, però li ho
dirottati verso la condivisione degli obiettivi. Lavoro di squadra vuol
dire che tutti i miei uomini comunicano fra loro e si informano su
tutto. Ma il leader deve anche saper decidere da solo. Quando andavo in
Usa per trattare con GM mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il
convertendo. Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire
coperti da me. Vero, De Meo?». Luca De Meo, a.d. di Fiat Automobiles, è
l'incarnazione fisica del nuovo verbo aziendale. Quarant'anni appena
compiuti, testa svelta, lingua sciolta, jeans e musica rock,
praticamente un alieno in diretta dal futuro: «Ogni tanto il dottore mi
cazzia perché faccio quello che mi pare».
È così, dottor Marchionne?
«Tanto poi continua a farlo… Far parte della squadra, ecco quel che
conta, Io so che se lascio uno di loro fuori da una decisione, lo
sgonfio in tre secondi. È un po' che li trascuro, è di nuovo il momento
di dargli una sferzata. Come dice De Meo, abbiamo avuto cuore e gambe
per entrare in Champions, adesso viene il difficile. Tutti ci davano
per morti. Sull'ultimo numero del Journal de l'Auto c'è l'immagine di
una 500 che esce dalla bara… Ma il rischio di retrocedere è svanito per
sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla,
toglierle le scarpe e il cappotto. Ma siamo sopravvissuti. Ora il sogno
è un altro. Diventare i migliori. Non in tutto, che è impossibile. Ma
su certi valori. Essere italiani significa farci riconoscere per lo
stile che abbiamo. E poi i nostri concorrenti sono complessi, rigidi e
pieni di procedure: speriamo che continuino. Noi invece stiamo
diventando veloci e facilitanti come la Apple. Per lo spot mi sono
ispirato allo slogan: "Think different"».
La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill
Gates?
«È l'underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce
che c'è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori
e di cose eleganti e coerenti. Io sono un miscredente convertito. Il
primo iPod me l'ha regalato De Meo. Un sistema facile da usare. Voglio
che la Fiat diventi la Apple dell'auto. E la 500 sarà il nostro iPod».
Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: "A piece, a chord"».
Adesso si balla, ma prima ha dovuto usare il bisturi. Montanelli
diceva che i leader italiani partono con l'idea di fare i chirurghi, ma
finiscono col somministrare la solita aspirina.
«Io sapevo che tagliare era una premessa per rinascere. Se c'è una
cosa che odio è licenziare qualcuno, guardarlo negli occhi e
immaginarlo la sera, quando tornerà a casa e dovrà dirlo alla moglie,
ai figli. È una cosa orribile. Allora cerco di attutirgli la botta,
facilitargli l'uscita. Qui d'altronde si era creata una incrostazione,
non potevo inventarmi un mestiere per tutti. Ma adesso ricomincio ad
assumere. Cinquecento tecnici e ingegneri, e non mi bastano. Macchine,
motori, trattori, camion: stiamo crescendo da tutte le parti».
E gli operai?
«Il problema non sono mai stati loro. Ma vanno gestiti bene. Andai a
Pomigliano d'Arco, due anni fa, e davanti a me un'operaia attaccò un
pezzo alla macchina. Brava, le dissi. E lei: "Guardi, dottore, è stata
una botta di culo. Di solito ci impiego venti volte a incastrarlo".
L'ingegnere aveva disegnato male il pezzo».
Nello spot ci sono anche gli operai sotto Mirafiori.
«Abbiamo scelto immagini che riguardassero da vicino la storia
d'Italia degli ultimi 50 anni. Così lo spot piazza la Fiat in un
contesto storico che Apple non aveva. Appena arrivato, feci fare un
filmato con tutti i nostri successi. Il senso era: se l'abbiamo già
fatto, perché non potremmo rifarlo? Lì abbiamo capito che significavamo
qualcosa per questo Paese. Nel bene e nel male. Ma il saldo è positivo.
Perciò lo slogan della campagna è: la nuova Fiat appartiene a tutti
noi"».
Le immagini le ha scelte lei?
«Ho dato spunti, anche forti. Amin, Pol Pot. Alcuni sono stati
scartati. Nella mia testa c'erano solo parole e immagini. Poi è saltato
fuori il bambino del "Nuovo cinema Paradiso" di Tornatore. È lui che
guarda le foto, nello spot. Il suo sorriso buffo rappresenta il nuovo
primo giorno della Fiat».
La sua immagine preferita? Per De Meo è Ciampi che mette le mani sulla
bara dei caduti di Nassiriya.
«Falcone e Borsellino. E Valentino Rossi che solleva un braccio al
cielo dopo la vittoria. Quanta energia e forza in quel gesto, quanta
italianità… Questo è un Paese che non sa volersi bene».
Lei ha messo l'etica nel Dna della nuova Fiat. Funzionerà nel paese
dei furbetti?
«Anche l'America ha avuto i suoi furbetti. La Enron riceveva gli
investitori in una sala piena di telefoni. Peccato che non ci fossero i
fili… Ma un sistema sano rientra, corregge e si riposiziona. Il
problema italiano è che non ha la reputazione internazionale di sapersi
correggere. La nostra sfida è riconquistare dignità».
Bisognerebbe avere senso dello Stato. Anche le aziende che
privatizzano i profitti e scaricano i debiti sul pubblico.
«Negli ultimi 3 anni profitti e debiti delle Fiat sono stati
totalmente a carico dell'azienda. Alle banche avevo promesso che mi
sarei spaccato l'anima per non far perder loro i soldi che in quel
momento non potevo restituire. Bene, se fossero rimaste tutte, adesso
avrebbero il doppio e oltre del capitale investito. I loro 3 miliardi
oggi ne valgono quasi 7».
Fra gli italiani si respira impotenza.
«Strano. Il Pil cresce, l'indebitamento e la disoccupazione calano,
eppure c'è questo senso di insoddisfazione».
Sarà che le sale dei bottoni assomigliano a quella della Enron.
Schiacci e non risponde nessuno.
«Anche qui schiacciavo e l'unico che rispondeva era il centralino.
Allora mi sono messo sotto il tavolo e li ho aggiustati, i bottoni».
È un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un
politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il
carisma non è tutto. Come la bellezza nelle belle donne: alla lunga non
basta».
Chi le piace?
«Sarkozy: un uomo di destra che si apre a gente che non fa parte della
sua tribù. Pragmatico. Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un
approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo
perché la vita si è allungata?».
No, perché mancano i soldi.
«Se il motivo è economico, allora mi sta bene. La 500 l'abbiamo
costruita perché avevamo i soldi. Il primo a parlarne fu Lapo. Sembrava
una valutazione emotiva. Ma al primo bilancio non più in rosso, abbiamo
deciso di farla davvero. Era il dicembre 2005. Ci abbiamo impiegato 18
mesi, il doppio del tempo che occorre per un bambino, ma la metà di
quanto ci mettono i nostri concorrenti. Scusi, mi è arrivato un sms
dalla Borsa: "Fiat vale 28 miliardi e mezzo di euro". Forse è davvero
ora di andarci, in pensione…».
Non ci crede nessuno. Ormai con quel maglione è anche un personaggio.
Dal Presidente della Repubblica dovrà mettersi la giacca.
«Cos'è, una minaccia? Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno
non mi confondo la mattina nell'armadio. I miei maglioni hanno un
piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io. L'Italia
non è un concetto astratto. Esiste. Come ce l'abbiamo fatta noi a
trovare la gente giusta per risorgere, ce la può fare anche il Paese.
Qui dentro non si è mai brindato a qualcosa che non riguardasse la
Fiat. Ci sentiamo una comunità dominata da un forte senso di
appartenenza. Sarebbe bello vederlo anche fuori di qui. Come in
Francia. Lo spot andrà anche lì, e le immagini saranno ovviamente
francesi, da De Gaulle a Platini».
Montezemolo ha visto quello italiano?
«E gli è piaciuto molto».
"La vita è un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo.
Il nostro tempo.
Noi cresciamo e maturiamo collezionando queste esperienze.
Sono queste che poi vanno a definirci.
Alcune sono più importanti di altre, perché formano il nostro
carattere.
Ci insegnano la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
La differenza tra il bene e il male.
Cosa essere e cosa non essere.
Ci insegnano chi vogliamo diventare.
In tutto questo, alcune persone e alcune cose si legano a noi in un
modo spontaneo e inestricabile.
Ci sostengono nell’esprimerci e nel realizzarci.
Ci legittimano nell’essere autentici e veri.
E se significano veramente qualcosa, ispirano il modo in cui il mondo
cambia e si evolve.
E allora, appartengono a tutti noi e a nessuno.
La nuova Fiat appartiene a tutti noi."
TORINO
La nuova Fiat 500 entra nella case di tutti gli italiani con una
pubblicità che parla di Falcone, Ciampi, Valentino Rossi e Giorgio
Gaber, non nomina mai la 500 e cita la Fiat soltanto una volta, alla
fine. Colpiti dalla scelta, siamo andati a chiederne conto al
pubblicitario che ha scritto il testo dello spot e scelto le foto che
lo illustrano. È un esordiente. Si chiama Sergio Marchionne, uno che
ama l'Italia come capita solo a chi non ci ha vissuto per molto tempo e
che di mestiere gestisce da tre anni l'azienda di cui ha appena curato
la réclame. È seduto davanti a un portacenere, gioca con l'accendino e
porta il solito maglione blu. «Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma
siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno
si è ancora accorto. Dopo gliela mostro».
Intanto ci dica quando ha deciso di darsi alla pubblicità.
«Il 16 maggio, di pomeriggio. Ho impiegato un'ora e mezzo per scrivere
il testo al computer. Ma ce l'avevo in pancia da giorni. L'ho scritto
in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è
ancora più bello, perché l'inglese è una lingua precisa».
E cosa dovrebbe comunicarci di così preciso, lo spot della 500?
«Ricostruisce il Dna del gruppo Fiat. Abbiamo sputato sangue in questi
anni per ripulirlo e ricominciare. Oggi, 4 luglio, per la Fiat è un
nuovo inizio. Tre anni di catarsi per tornare a riveder la luce».
Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore
delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale,
intendo. Un'organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi
chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera,
chissà che fumetti avrebbe portato».
Fumetti amari, all'inizio.
«Per prima cosa ho fatto il giro del mondo in 40 giorni, ho visitato
tutti gli stabilimenti, visto tutto. La burocrazia ministeriale.
L'organizzazione non strutturata per la concorrenza. La logica era:
quest'anno ho fatto un accendino, il prossimo anno ne farò uno più
lungo di un millimetro, e chi se ne frega se intanto all'estero lo
fanno di un chilometro. L'idea di fare soldi non era minimamente presa
in considerazione, come in certi ambienti islamici dove il guadagno è
considerato una forma di usura».
Il piemontese viene da generazioni di montanari, soldati, operai. Ha
il culto dell'obbedienza.
«E io ho mantenuto la disciplina e il senso del dovere, però li ho
dirottati verso la condivisione degli obiettivi. Lavoro di squadra vuol
dire che tutti i miei uomini comunicano fra loro e si informano su
tutto. Ma il leader deve anche saper decidere da solo. Quando andavo in
Usa per trattare con GM mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il
convertendo. Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire
coperti da me. Vero, De Meo?». Luca De Meo, a.d. di Fiat Automobiles, è
l'incarnazione fisica del nuovo verbo aziendale. Quarant'anni appena
compiuti, testa svelta, lingua sciolta, jeans e musica rock,
praticamente un alieno in diretta dal futuro: «Ogni tanto il dottore mi
cazzia perché faccio quello che mi pare».
È così, dottor Marchionne?
«Tanto poi continua a farlo… Far parte della squadra, ecco quel che
conta, Io so che se lascio uno di loro fuori da una decisione, lo
sgonfio in tre secondi. È un po' che li trascuro, è di nuovo il momento
di dargli una sferzata. Come dice De Meo, abbiamo avuto cuore e gambe
per entrare in Champions, adesso viene il difficile. Tutti ci davano
per morti. Sull'ultimo numero del Journal de l'Auto c'è l'immagine di
una 500 che esce dalla bara… Ma il rischio di retrocedere è svanito per
sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla,
toglierle le scarpe e il cappotto. Ma siamo sopravvissuti. Ora il sogno
è un altro. Diventare i migliori. Non in tutto, che è impossibile. Ma
su certi valori. Essere italiani significa farci riconoscere per lo
stile che abbiamo. E poi i nostri concorrenti sono complessi, rigidi e
pieni di procedure: speriamo che continuino. Noi invece stiamo
diventando veloci e facilitanti come la Apple. Per lo spot mi sono
ispirato allo slogan: "Think different"».
La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill
Gates?
«È l'underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce
che c'è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori
e di cose eleganti e coerenti. Io sono un miscredente convertito. Il
primo iPod me l'ha regalato De Meo. Un sistema facile da usare. Voglio
che la Fiat diventi la Apple dell'auto. E la 500 sarà il nostro iPod».
Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: "A piece, a chord"».
Adesso si balla, ma prima ha dovuto usare il bisturi. Montanelli
diceva che i leader italiani partono con l'idea di fare i chirurghi, ma
finiscono col somministrare la solita aspirina.
«Io sapevo che tagliare era una premessa per rinascere. Se c'è una
cosa che odio è licenziare qualcuno, guardarlo negli occhi e
immaginarlo la sera, quando tornerà a casa e dovrà dirlo alla moglie,
ai figli. È una cosa orribile. Allora cerco di attutirgli la botta,
facilitargli l'uscita. Qui d'altronde si era creata una incrostazione,
non potevo inventarmi un mestiere per tutti. Ma adesso ricomincio ad
assumere. Cinquecento tecnici e ingegneri, e non mi bastano. Macchine,
motori, trattori, camion: stiamo crescendo da tutte le parti».
E gli operai?
«Il problema non sono mai stati loro. Ma vanno gestiti bene. Andai a
Pomigliano d'Arco, due anni fa, e davanti a me un'operaia attaccò un
pezzo alla macchina. Brava, le dissi. E lei: "Guardi, dottore, è stata
una botta di culo. Di solito ci impiego venti volte a incastrarlo".
L'ingegnere aveva disegnato male il pezzo».
Nello spot ci sono anche gli operai sotto Mirafiori.
«Abbiamo scelto immagini che riguardassero da vicino la storia
d'Italia degli ultimi 50 anni. Così lo spot piazza la Fiat in un
contesto storico che Apple non aveva. Appena arrivato, feci fare un
filmato con tutti i nostri successi. Il senso era: se l'abbiamo già
fatto, perché non potremmo rifarlo? Lì abbiamo capito che significavamo
qualcosa per questo Paese. Nel bene e nel male. Ma il saldo è positivo.
Perciò lo slogan della campagna è: la nuova Fiat appartiene a tutti
noi"».
Le immagini le ha scelte lei?
«Ho dato spunti, anche forti. Amin, Pol Pot. Alcuni sono stati
scartati. Nella mia testa c'erano solo parole e immagini. Poi è saltato
fuori il bambino del "Nuovo cinema Paradiso" di Tornatore. È lui che
guarda le foto, nello spot. Il suo sorriso buffo rappresenta il nuovo
primo giorno della Fiat».
La sua immagine preferita? Per De Meo è Ciampi che mette le mani sulla
bara dei caduti di Nassiriya.
«Falcone e Borsellino. E Valentino Rossi che solleva un braccio al
cielo dopo la vittoria. Quanta energia e forza in quel gesto, quanta
italianità… Questo è un Paese che non sa volersi bene».
Lei ha messo l'etica nel Dna della nuova Fiat. Funzionerà nel paese
dei furbetti?
«Anche l'America ha avuto i suoi furbetti. La Enron riceveva gli
investitori in una sala piena di telefoni. Peccato che non ci fossero i
fili… Ma un sistema sano rientra, corregge e si riposiziona. Il
problema italiano è che non ha la reputazione internazionale di sapersi
correggere. La nostra sfida è riconquistare dignità».
Bisognerebbe avere senso dello Stato. Anche le aziende che
privatizzano i profitti e scaricano i debiti sul pubblico.
«Negli ultimi 3 anni profitti e debiti delle Fiat sono stati
totalmente a carico dell'azienda. Alle banche avevo promesso che mi
sarei spaccato l'anima per non far perder loro i soldi che in quel
momento non potevo restituire. Bene, se fossero rimaste tutte, adesso
avrebbero il doppio e oltre del capitale investito. I loro 3 miliardi
oggi ne valgono quasi 7».
Fra gli italiani si respira impotenza.
«Strano. Il Pil cresce, l'indebitamento e la disoccupazione calano,
eppure c'è questo senso di insoddisfazione».
Sarà che le sale dei bottoni assomigliano a quella della Enron.
Schiacci e non risponde nessuno.
«Anche qui schiacciavo e l'unico che rispondeva era il centralino.
Allora mi sono messo sotto il tavolo e li ho aggiustati, i bottoni».
È un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un
politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il
carisma non è tutto. Come la bellezza nelle belle donne: alla lunga non
basta».
Chi le piace?
«Sarkozy: un uomo di destra che si apre a gente che non fa parte della
sua tribù. Pragmatico. Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un
approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo
perché la vita si è allungata?».
No, perché mancano i soldi.
«Se il motivo è economico, allora mi sta bene. La 500 l'abbiamo
costruita perché avevamo i soldi. Il primo a parlarne fu Lapo. Sembrava
una valutazione emotiva. Ma al primo bilancio non più in rosso, abbiamo
deciso di farla davvero. Era il dicembre 2005. Ci abbiamo impiegato 18
mesi, il doppio del tempo che occorre per un bambino, ma la metà di
quanto ci mettono i nostri concorrenti. Scusi, mi è arrivato un sms
dalla Borsa: "Fiat vale 28 miliardi e mezzo di euro". Forse è davvero
ora di andarci, in pensione…».
Non ci crede nessuno. Ormai con quel maglione è anche un personaggio.
Dal Presidente della Repubblica dovrà mettersi la giacca.
«Cos'è, una minaccia? Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno
non mi confondo la mattina nell'armadio. I miei maglioni hanno un
piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io. L'Italia
non è un concetto astratto. Esiste. Come ce l'abbiamo fatta noi a
trovare la gente giusta per risorgere, ce la può fare anche il Paese.
Qui dentro non si è mai brindato a qualcosa che non riguardasse la
Fiat. Ci sentiamo una comunità dominata da un forte senso di
appartenenza. Sarebbe bello vederlo anche fuori di qui. Come in
Francia. Lo spot andrà anche lì, e le immagini saranno ovviamente
francesi, da De Gaulle a Platini».
Montezemolo ha visto quello italiano?
«E gli è piaciuto molto».
Re: Orgoglio ITALIANO.
rispondi al telefono !!!! quando vedi un 335----753 sono io
Ciao
Fabio Mi Sud
Ciao
Fabio Mi Sud
Re: Orgoglio ITALIANO.
Lo sò sarò fuori dal coro.....ma...."Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: "A piece, a chord"»."...in quanti Italiani conoscono questa canzone....perchè non rimaniamo Italiani fino in fondo, non c'era un brano italiano che meritasse la 500???..... "L'ho scritto
in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è
ancora più bello, perché l'inglese è una lingua precisa"......sono senza parole....anzi una mi verrebbe in mente........
kampes.....sinceramente italiano
«Bobby McFerrin: "A piece, a chord"»."...in quanti Italiani conoscono questa canzone....perchè non rimaniamo Italiani fino in fondo, non c'era un brano italiano che meritasse la 500???..... "L'ho scritto
in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è
ancora più bello, perché l'inglese è una lingua precisa"......sono senza parole....anzi una mi verrebbe in mente........
kampes.....sinceramente italiano
Re: Orgoglio ITALIANO.
Quoto il Maestro
in mezzo a tanto stile, ci avrei visto un bel pezzo italiano
per quanto riguarda la lingua.............beh, si commenta da sola!!
ciao
rino
in mezzo a tanto stile, ci avrei visto un bel pezzo italiano
per quanto riguarda la lingua.............beh, si commenta da sola!!
ciao
rino
Re: Orgoglio ITALIANO.
Quoto anch'io il grnade Carlo.
Viene in mente anche a me una parola ........
non so se sia la stessa del maestro ma .......
diciamo che è quella che la cassazione ha considerato non oltraggiosa !
Alex
Viene in mente anche a me una parola ........
non so se sia la stessa del maestro ma .......
diciamo che è quella che la cassazione ha considerato non oltraggiosa !
Alex